giovedì, dicembre 13, 2007

 

NEL NOME DI SATANA...(ovvero come massacrare una suora e uscire dal carcere in pochissimi anni)

Milano, 11 dicembre 2007 - Uscira' tra pochi giorni dal carcere di Torino dove e' detenuta Ambra, la giovane che il 6 giugno di sette anni fa uccise insieme a due amiche suor Maria Laura Mainetti (nella foto). Rientrerà solo la notte: il tribunale di sorveglianza le ha infatti concesso la semilibertà. Lo scrive il Corriere della Sera in prima pagina. Con lei sono fuori dal carcere tutte e tre le responsabili dell'omicidio compiuto ''nel nome di Satana''.

Ambra, considerata dai giudici la regista dell'esecuzione, dovra' fare volontariato. La sua pena e' stata ridotta dall'indulto e per la buona condotta. Il termine della condanna e' fissato per il 12 novembre del prossimo anno. Insieme a Veronica e a Milena massacro' con 19 coltellate la religiosa, 61 anni, per la quale e' in corso la causa di beatificazione. Le ultime parole della suora furono di perdono nei confronti delle assassine.

Veronica e Milena, ritenute parzialmente incapaci di intendere e di volere, furono condannate a otto anni e mezzo di carcere. Veronica lascio' il carcere il 4 luglio 2004 dopo aver scontato meta' della pena e fu affidata in una comunita' romana.

Il 2 maggio 2006 fu la volta di Milena, che lavora nel centro Exodus di Grezzana (Verona) gestito da don Mazzi. La scorsa settimana il tribunale ha deciso per Ambra (condannata a 12 anni e quattro mesi), che ha proseguito gli studi in carcere ed e' al terzo anno di Giurisprudenza. (Quotidiano Net)

Il caso di suor Maria Laura Mainetti
Nella notte fra il 6 e il 7 giugno 2000 a Chiavenna, una cittadina in provincia di Sondrio (in Lombardia, al confine con la Svizzera), la religiosa cattolica suor Maria Laura Mainetti, della congregazione delle Figlie della Croce, viene uccisa con diciannove coltellate da tre ragazze, due di diciassette e una di sedici anni. La suora, nota nella cittadina in cui risiede e nel territorio circostante per il suo impegno sociale e di carità nei confronti dei giovani, dei disagiati e dei bisognosi, cade in una trappola ben congegnata: le giovani assassine riescono ad attirarla di notte in un luogo isolato annunciando il falso dramma di una ragazza incinta che si trova in difficoltà e chiedendo aiuto alla religiosa per cui tali azioni di carità sono tutt’altro che infrequenti.
Secondo la ricostruzione prodotta dagli inquirenti e gli elementi emergenti dagli interrogatori delle tre omicide, colpita inizialmente sul cranio con un cubetto di porfido e con una coltellata, la religiosa viene fatta inginocchiare dalle tre assassine a fini simbolico-ritualistici (come gesto di sottomissione) e di nuovo ripetutamente colpita dalle tre ragazze che al contempo lanciano insulti contro di lei e fanno uso di due coltelli per consumare il loro macabro rito, mentre la suora prega e concede loro il perdono.
Le tre ragazze, scoperte e arrestate dai Carabinieri ventidue giorni dopo l’omicidio, prima affermano la loro intenzione di compiere un gioco al fine di rompere la monotonia della vita noiosa che conducono nella cittadina in cui vivono, poi dal carcere confessano di aver voluto compiere un sacrificio a Satana. Al termine dell’inchiesta gli inquirenti – che, peraltro, nelle numerose perquisizioni presso le case di adolescenti e giovani della zona hanno modo di riscontrare l’insospettata esistenza di una subcultura satanica presso vari ragazzi di buona famiglia – individuano realmente nel satanismo la chiave di lettura dell’intera vicenda.
Dalle indagini emergono anche altri dettagli relativi a gesti rituali attribuibili ad una subcultura satanica compiuti dalle tre ragazze nei mesi precedenti l’omicidio, quali un giuramento di sangue fra le medesime consistito nel versare in un bicchiere e ingerire il proprio sangue, ricavato tramite un taglio alla mano o al polso, quale segno di fedeltà reciproca; le stesse ragazze tuttavia confermano che una di loro, vinta dal ribrezzo, si sottrae all’azione ritualistica.
Una seconda azione - questa volta di tipo vandalico - consistente nel furto di una Bibbia (a cui poi danno fuoco) da una chiesa, avrebbe invece coinvolto anche altre amiche del trio, risultate però estranee alla vicenda dell’omicidio di suor Maria Laura.
Le giovani assassine, dai carceri dove sono rinchiuse manifestano pentimento.


La vicenda processuale
Il 5 febbraio 2001 inizia il processo con rito abbreviato e – con esso – la schermaglia tra i periti, alcuni dei quali affermano che le ragazze sono punibili e altri invece che al momento del delitto erano incapaci di intendere e di volere. Il Pubblico Ministero Cristina Rota, nelle tre ore di requisitoria sottolinea più volte il fatto che il movente resta il rito satanico, l’immolazione al diavolo di suor Maria Laura, definendola vittima sacrificale innocente; chiede pertanto condanne severe tra i dieci e i quindici anni, ritenendo Ambra – la ragazza che, invece, sarà prosciolta con la sentenza di primo grado – l’elemento ispiratore dell’atroce delitto.
Il Giudice per le udienze preliminari, Anna Poli, sceglie una terza strada, riducendo le pene richieste dalla Procura per i minorenni di Milano e condannando a otto anni e mezzo due delle tre ragazze accusate dell’omicidio «satanico» – premeditato, secondo la sentenza dell’agosto 2001 –, le quali peraltro beneficiano della riduzione di un terzo della pena, garantita dal rito abbreviato, e prosciogliendo la terza, ritenendola completamente incapace di intendere e volere. La ragazza prosciolta, da subito è affidata ad un riformatorio giudiziario per almeno tre anni, mentre le due condannate per semicapacità (Veronica e Milena) avranno medesima sorte dopo la scarcerazione.
La sentenza della Corte d’Appello di Milano, nell’aprile del 2002, conferma invece la tesi dell’accusa, infatti non riconosce alla ragazza prosciolta in primo grado lo stato d’infermità mentale e, ritenendola la leader del trio di giovani assassine, la condanna a più di dodici anni e mezzo di carcere (la pena più severa), mentre conferma le condanne di primo grado per le sue due compagne.
Un’appendice alla vicenda processuale riguarda la temporanea scarcerazione della stessa Ambra, nel gennaio del 2003, per scadenza dei termini di custodia cautelare prima del giudizio della Suprema Corte di Cassazione, a cui hanno fatto ricorso i difensori della ragazza dopo la sentenza della Corte d’Appello, a differenza dei legali di Veronica e Milena. La Cassazione, peraltro, il 23 gennaio 2003 rende definitiva la condanna della Corte d’Appello, ritenendo perciò la ragazza colpevole. (Cesnur)


Beh, pare proprio il caso, se non l'abbiano già fatto le tre assassine, di ringraziare il signore delle tenebre per il bel lavoro che è riuscito a compiere. Certo è che l'ha aiutato molto il fatto che il massacro sia stato eseguito in Italia. Quale altro paese infatti avrebbe permesso la scarcerazione dopo così pochi anni di carcere delle tre efferate assassine? Non crediamo ce ne siano poi così tanti nel mondo. Ecco perchè l'oscuro signore predilige il nostro bel paese e fa di tutto affinchè quante più persone possano uccidere, stuprare, massacrare (ma non disdegna reati minori come la rapina a mano armata) e quanto di più orribile si possa immaginare, senza scontare una pena non diciamo giusta ma almeno decente. Insomma siamo in buone mani.

Ah dimenticavamo...
Buon Natale

F.to
Comitato contro l'indulto
comitatocontroindulto@gmail.com

venerdì, dicembre 07, 2007

 

CRONACA DI UNA MORTE ANNUNCIATA

Non si tratta solo della morte dei 2 operai (fino ad ora, ma probabilmente il numero aumenterà a causa delle gravissime ustioni che gli altri 5 feriti hanno riportato) delle acciaierie ThyssenKrupp di Torino (La Stampa), ma anche della morte dell’intera società italiana. Una società diventata secondo l’ultima analisi del Censis povera, aggressiva e litigiosa, malfidente verso la politica e i politici tutti, costretta a vivere in territori completamente gestiti dalla criminalità, sofferente per la mancanza di sicurezza della pena verso chi commette reati e di giustizia verso chi li subisce (leggi indulto). Un Paese che ha quasi cancellato la sua memoria storica, le sue battaglie per i diritti dei lavoratori, per la legalità, per un salario dignitoso, per, aggiungiamo, un vivere dignitoso. Un pasticcio brutto senza identità collettiva, come dice il Censis, invaso dai telefonini e che non pensa più al proprio futuro.
Un Paese che oramai vive una realtà quasi da terzo mondo o meglio così lo vorrebbero i nostri industriali, la nostra classe dirigente, i nostri padroni (un termine che in futuro vedrete rispolverato molto spesso).

Quando in una nazione che si crede moderna e socialmente sviluppata abbiamo una media di circa 1300 morti sul lavoro ogni anno (fonte Inail – PDF), senza contare gli incidenti più o meno gravi (oltre un milione) che causano decine di migliaia di invalidi permanenti (abbiamo anche il record europeo – Lavocedifiore) significa che non siamo poi così diversi da quei paesi che indichiamo come sottosviluppati, come incivili, come sfruttatori.

Apriamo i quotidiani e leggiamo:

Cina, esplosione in miniera: 105 morti (Corriere della Sera)

Torino, esplosione alla ThyssenKrupp: 1 morto e 6 feriti (ad oggi 2 morti…) (AdnKronos)

Dove sta la differenza? Cosa ci distanzia da un Paese che ha fatto del profitto ad ogni costo, del mancato rispetto della dignità e dei diritti dei lavoratori e dell’assenza totale di ogni regola sulla sicurezza sul lavoro la sua ragione di sviluppo? Oramai più nulla.

Con lo spettro della globalizzazione ci hanno fatto credere che non possiamo più permetterci di lavorare 8 ore al giorno per mantenerci dignitosamente (l’operaio morto a Torino lavorava dopo aver finito il suo turno ad un’altro di 4 ore, cioè lavorava ininterrottamente per 12 ore); ci hanno fatto credere che non possiamo più chiedere che si spendano soldi in sicurezza (3 dei 5 estintori del reparto incendiato nelle acciaierie erano vuoti ed il telefono di emergenza non funzionava); ci hanno fatto credere che è giusto rinunciare al nostro TFR, alle ferie pagate, alla pensione; ci hanno fatto credere che il lavoro (il lavoratore) è uguale a tutte le altre merci di scambio e che va usato solo quando necessario all’azienda perché sarebbe un peso economico non sopportabile assumerne con un contratto a tempo indeterminato. Insomma ci hanno fatto regredire di oltre 100 anni e noi, stupido popolino incosciente siamo stati al loro gioco.

Per la paura della Cina, dell'India, delle economie in via di sviluppo (oltre che economico anche sociale) ci siamo venduti il nostro futuro e quello delle generazioni a venire. E l’abbiamo fatto senza colpo ferire. Senza sussulti, senza proteste, senza battaglie.

E ora non ci rimane che stare zitti, assistere allo sfacelo e contare i morti.

F.to
Comitato contro l’indulto
comitatocontroindulto@gmail.com

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