mercoledì, dicembre 31, 2008

 

DOMANI, DOMANI, DOMANI (ovvero i tristi pensieri di Walter/Mcbeth)

Nel 2006, a tre mesi dalle elezioni politiche che avrebbero portato alla risicata vittoria del centrosinistra, ci fu a porta a porta un memorabile confronto tra Fini e Fassino, in cui il leader di An citando il caso Unipol (la famosa scalata bancaria dei furbetti del quartierino appoggiata tra gli altri anche dai vertici “massimi” dei DS) contestava alla coalizione di centrosinistra la oramai impossibilità di ergersi come supremi portatori e difensori di quella che ai tempi di Berlinguer fu definita “la questione morale”.


"Avete perso l'aureola. Non potete più fare appello alla diversità di berlingueriana memoria" diceva Fini al suo rivale” (la Repubblica)


Oggi a quasi tre anni di distanza ci tocca amaramente ammettere che Gianfranco Fini aveva ragione:

Il centrosinistra ha perso l’aureola o probabilmente si era già persa subito dopo la morte di Berlinguer (o forse non l’ha mai avuta?).


Napoli, Firenze, Pescara, Bari, queste e non solo, le città governate da amministratori del PD risultate colluse coi poteri finanziari e in sospetto di mazzette per favorire appalti illeciti. Il caso Romeo, alcuni dicono, è solo la punta dell’iceberg. Altre sorprese attendono il centrosinistra (o meglio i poveri elettori del centrosinistra che oramai non sanno più a che santo -leggi leader- votarsi).


E così finalmente ci appare nella desolante evidenza delle notizie sempre più frequenti, riguardanti le indagini a carico degli esponenti del centrosinistra, la verità sulla nostra intera classe politica (i politici di destra, già sapevamo che erano ladri e farabutti e soprattutto servi del nanopelato):


TUTTI I POLITICI ITALIANI, INDIFFERENTEMENTE DAL PARTITO A CUI ADERISCONO, SONO UN MANIPOLO DI LADRI CHE HANNO COME SOLO SCOPO QUELLO DI ARRICCHIRSI A DANNO DI TUTTI GLI ITALIANI.


Una frase che potrebbe sembrare lapalissiana, scontata, magari populista, ma che mai oggi come oggi si dimostra, nei fatti accertati, più che veritiera.


Ladri e farabutti perché non solo rubano ma, forti del sistema autoreferenziale che si sono costruiti negli anni, si rifiutano di farsi se non processare, addirittura solo indagare.


Ultimo atto della casta, il caso Salvatore Margiotta a cui, pochi giorni fa, la giunta parlamentare per le autorizzazioni a procedere ha negato ai giudici la possibilità di indagare sulle presunte mazzette (200.000 euro) concesse all’esponente del PD per favorire un appalto petrolifero in Basilicata (Il Corriere della Sera). Tra tutti gli esponenti solo quelli dell’IdV si sono rifiutati di negare l’autorizzazione a procedere mentre sia quelli del PDL che quelli del PD si sono espressi contro la richiesta dei giudici (a comprova, per chi ancora non l’avesse capito, che sono due partiti facce della stessa medaglia).(Wikio)


E così ritroviamo il povero Veltroni, che vede di giorno in giorno il consenso del suo partito (e il suo) andare a picco, quasi terrorizzato. Come un moderno Macbeth che dopo aver ucciso la sinistra e preso il potere assoluto nel PD non passa giorno che si preoccupi del “domani, domani, domani” mentre il suo regno a poco a poco si sfalda e i principali baroni, una volta suoi alleati, l’abbandonano alla solitudine e ai suoi tristi pensieri. Un Macbeth che vede oggi avanzare il bosco di Birnan verso il castello di Dunsinane. Ed esattamente come nel Mcbeth, avanzano dietro i rami degli alberi gli eserciti di MacDuff e Siward, ovvero di coloro che dovevano essere i sottoposti del re e che invece si sono ribellati alla tirannia.


Così molti oggi si chiedono: “Chi sarà il sostituto di Veltroni?” Chi sarà il suo McDuff? Chi riuscirà a riportare in auge e soprattutto a fare rispettare quello che fu il sancta sanctorum della sinistra radicale?


LA QUESTIONE MORALE!


Ai posteri l’ardua sentenza.


F.to

Comitato contro l’indulto

comitatocontroindulto@gmail.com



lunedì, dicembre 15, 2008

 

LA VERITA' CI RENDERA' LIBERI

Pubblichiamo per intero il resoconto di Carlo Vulpio, giornalista del Corriere della Sera rimosso da suo incarico perchè libero portatore di verità sul caso De Magistris, o come lui stesso scrive sul caso Catanzaro.

Ai tanti atti contro la libertà di informazione e di espressione in questo ormai paesucolo che chiamiamo Italia, se ne aggiunge anche questo:

impedire ad un professionista serio di fare fino in fondo il suo dovere, di descrivere insomma, la verità dei fatti sul caso Catanzaro e sulle inchieste "Why not" e "Poseidone" che tanti politici, affaristi e magistrati, interessano in quel di Catanzaro e dintorni.

F.to
Comitato contro l'indulto
comitatocontroindulto@gmail.com

PS
Diffondete e firmate la petizione
"Siamo tutti Carlo Vulpio"

Di seguito il testo reperibile nel blog del giornalista www.carlovulpio.it:

Avevo fatto una battuta: avevo detto: i giornalisti, a differenza dei magistrati, non possono essere trasferiti. Avrei fatto meglio a stare zitto. Da lì a poco sarei stato “trasferito” anch’io.
E’ stato la sera del 3 dicembre, dopo che sul mio giornale era uscito un mio servizio da Catanzaro sulle perquisizioni e i sequestri ordinati dalla procura di Salerno nei confronti di otto magistrati calabresi e di altri politici e imprenditori.
http://www.carlovulpio.it/Lists/Roba%20Nostra/DispForm.aspx?ID=12

Come sempre, non solo durante questa inchiesta, ma perché questo è il mio modo di lavorare, avevo “fatto i nomi”. E cioè, non avevo omesso di scrivere i nomi di chi compariva negli atti giudiziari (il decreto di perquisizione dei magistrati di Salerno, che trovate su questo blog in versione integrale) non più coperti da segreto istruttorio. Tutto qui. Nomi noti, per lo più. Accompagnati però da qualche “new entry”: per esempio, Nicola Mancino, vicepresidente del Csm, Mario Delli Priscoli, procuratore generale della Corte di Cassazione, Simone Luerti, presidente dell’Associazione nazionale magistrati.

Con una telefonata, il giorno stesso dell’uscita del mio articolo, la sera del 3 dicembre appunto, invece di sostenermi nel continuare a lavorare sul “caso Catanzaro” (non chiamiamolo più “caso de Magistris”, per favore, altrimenti sembra che il problema sia l’ex pm calabrese e non ciò che stanno combinando a lui, a noi, alla giustizia e alla società italiana), invece di farmi continuare a lavorare – dicevo –, come sarebbe stato giusto e naturale, sono stato sollevato dall’incarico.
Esonerato. Rimosso. Congedato. Trasferito.

Con una telefonata, il mio direttore, Paolo Mieli, ha dichiarato concluso il mio viaggio fra Catanzaro e Salerno, Potenza e San Marino, Roma e Lamezia Terme. Un viaggio cominciato il 27 febbraio 2007, quando scoppiò “Toghe Lucane” (la terza inchiesta di de Magistris, con “Poseidone” e “Why Not”). Un viaggio che mi fece subito capire che da quel momento in poi nulla sarebbe stato più come prima all’interno della magistratura e in Italia.

Tanto è vero che successivamente ho avvertito la necessità di scrivere un libro (“Roba Nostra”, Il Saggiatore), che, dicevo mentre lo consegnavo alle stampe, “è un libro al futuro”. Una battuta anche questa, certo, perché come si fa a prevedere il futuro? In un libro, poi, che si occupa di incroci pericolosi tra politica, giustizia e affari sporchi… Ma si vede che negli ultimi tempi le battute mi riescono piuttosto bene, visto che anche questa, come quella sul “trasferimento” dei giornalisti, si è avverata.

Avevo detto – e lo racconto in “Roba Nostra” – che in Basilicata l’anno scorso è stato avviato un esperimento, che, se nessuno fosse intervenuto, sarebbe stato riprodotto da qualche altra parte in maniera più ampia e più disastrosa.

E’ accaduto che mentre la procura di Catanzaro (c’era ancora de Magistris) stava indagando su un bel numero di magistrati lucani, di Potenza e di Matera, la procura di Matera (gli indagati) si è messa a indagare sugli indagatori (de Magistris). Come? Surrettiziamente. E cioè? Si è inventato il reato di “associazione a delinquere finalizzato alla diffamazione a mezzo stampa” e ha messo sotto controllo i telefoni di cinque giornalisti (me compreso) e un ufficiale dei carabinieri (quello delegato da de Magistris per le indagini sui magistrati lucani). Così facendo, i magistrati indagati hanno potuto conoscere cosa si dicevano gli indagatori (de Magistris e l’ufficiale delegato a indagare).

Avvertivo: guardate che così va a finire male.
Chiedevo: caro Csm, caro Capo dello Stato, intervenite subito.
Niente. Nemmeno una parola, un singulto, un cenno. Nemmeno quando era chiaro a tutti che quei magistrati lucani, al di là di ogni altra considerazione, vedevano ormai compromessa la loro terzietà. Un magistrato - si dice sempre, e a ragione -, come la moglie di Cesare, deve non soltanto “essere”, ma anche “apparire” imparziale, terzo, non sospettabile di alcunché. Per i magistrati lucani, invece, non è così. Nonostante siano parti in causa, essi continuano a indagare sugli indagatori, chiedono e ottengono proroghe di indagini (siamo alla quarta) perché, dicono, il reato che si sono inventati, l’associazione a delinquere finalizzata alla diffamazione a mezzo stampa, è complicatissimo. E rimangono al proprio posto nonostante le associazioni regionali degli avvocati ne chiedano il trasferimento, per consentire un funzionamento appena credibile della giustizia.

Niente. Si è lasciato incancrenire il problema ed ecco replicato l’esperimento a Catanzaro. La “guerra” fra procure non è altro che la riproduzione di quel corto circuito messo in atto da indagati che indagano sui loro indagatori, affinché, rovesciato il tavolo e saltate per aria le carte, non si sappia più chi ha torto e chi ha ragione perché, appunto, “c’è la guerra”. E dopo la “guerra”, ecco la “tregua” o, se preferite, “l’armistizio” (così, banalmente ma non meno consapevolmente, tutti i giornali, salvo rarissime eccezioni di singoli commentatori).

Guerra e tregua. E’ questo il titolo dell’ultima, penosa sceneggiata italiana su una vicenda, scrivo in “Roba Nostra”, che è la “nuova Tangentopoli” italiana. Quando, sei mesi fa, è uscito il libro, qualcuno mi ha chiesto se non esagerassi. Adesso, l’ex presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, dichiara: “Ciò che sta accadendo oggi è peggio di Tangentopoli”. E Primo Greganti, uno che se ne intende, ammette anche lui, che “sì, oggi è peggio di Tangentopoli”.
Infine, una curiosità, o una coincidenza, o un suggerimento per una puntata al gioco del Lotto, fate voi.

Mi hanno rimosso dal servizio che stavo seguendo a Catanzaro il 3 dicembre 2008. Esattamente un anno prima, il 3 dicembre 2007, Letizia Vacca, membro del Csm, anticipava “urbi et orbi” la decisione che poi il Csm avrebbe preso su Clementina Forleo e Luigi de Magistris. “Sono due cattivi magistrati, due figure negative”, disse la Vacca. E Forleo e de Magistris sono stati trasferiti. Per me, più modestamente, è bastata una telefonata. Ma diceva più o meno la stessa cosa. Diceva che sono un cattivo giornalista.

Carlo Vulpio

lunedì, dicembre 01, 2008

 

IL REINSERIMENTO NELLA VITA SOCIALE DI MASTELLA

Riportiamo interamente tratto da Politica italia (a sua volta tratto dal quotidiano Libero) una notizia a dir poco allucinante:

CLEMENTE MASTELLA RICEVERA' UN ASSEGNO DI FINE MANDATO, DETTO ANCHE ASSEGNO DI REINSERIMENTO NELLA VITA SOCIALE E SPETTANTE A TUTTI I PARLAMENTARI CHE NON ESSENDO STATI ELETTI, RITORNANO ALLA VITA QUOTIDIANA, CIOE' QUELLA DI NOI COMUNI MORTALI, DI 300.000 EURO (TRECENTOMILA EURO CIOE' CIRCA 600 MILIONI DI VECCHIE E TANTO RIMPIANTE LIRE)

Ma a differenza nostra loro percepiscono questo assegno di solidarietà (cioè noi comuni cittadini che stentiamo a campare facciamo solidarietà con le nostre tasse a queste sanguisughe sociali), variabile a seconda degli anni parlamentari goduti.

In poche parole paghiamo, noi cittadini imbecilli, due volte. Una quando gli permettiamo di ricevere gli stipendi parlamentari più esosi d'Europa (e probabilmente del mondo) e due quando questi privilegiati finalmente fuoriescono dalla "casta" e tornano a diventare comuni cittadini (si fa per dire).

Insomma CORNUTI E MAZZIATI. E se pensiamo ai tempi di crisi che stiamo vivendo e all'utilità sociale che il partitino dell'ex guardiasigilli (praticamente nulla sopratutto perchè promotore, tra le altre assurdità, sempre insieme a destra e sinistra, dell'indulto) ci pare veramente assurdo che in questa nazione sempre più incredibile, possano sussistere ancora provvedimenti di tal fatta.

F.to
Comitato contro l'indulto
comitatocontroindulto@gmail.com

Di seguito l'articolo:

Lo chiamano assegno di reinserimento nella vita sociale, o anche assegno di solidarietà di fine mandato. E a pagarlo e lo Stato, attraverso le nostre imposte. A prima vista niente di strano, se a beneficiarne fosse un gruppo di: disadattati o ex tossici appena: dimessi da una comunità di recupero. Ma in questo caso a godere dell’assistenza pubblica sono i super privilegiati parlamentari della Casta. O meglio tutti quelli che non sono stati (o non si sono) ricandidati, o che pur ricandidandosi alle prossime elezioni non verranno rieletti. A loro - nonostante il reddito extra parlamentare, da quando mettono piede nell’emiciclo, cresca del 51% - spetterà una somma pari all’80% dello stipendio mensile lordo da deputato o senatore, moltiplicata per gli anni consecutivi passati in Parlamento.

A decorrere dall’inizio del primo mandato. Ossia 9.362 euro per ogni anno tra gli scranni di Montecitorio e 9.604 per Palazzo Madama (ottenuti cumulando il 6,7% di ciascuna delle 12 indennità mensili). Dunque per due soli annidi servizio, ai parlamentari “trombati” che han debuttato sotto l’attuale governo, verrà corrisposta un’indennità da 18.725 o 19.209 curo. Tuttavia molti di coloro che non torneranno in Parlamento vi sedevano da numerose legislature, e dunque l’aiutino per “reinserirsi” somiglia qui a un temo al lotto. Ad esempio su uno come Mastella, che lasciasse la Camera dopo 32 anni filati, pioverebbero 300.000 euro.

Inutile dire che questo ennesimo sperpero farà schizzare il budget dei palazzi del potere. Alla voce assegno di fine mandato, nel bilancio 2008 il collegio dei questori ha preventivato 8.5 milioni di spese straordinarie solo per il Senato. E il totale delle Camere sfiorerà i 25-30 milioni, considerato il forte ricambio generazionale nelle candidature, per effetto di quote rosa, tetto dei due mandati, stop agli indagati e fine delle grandi alleanze. Vanificando l’auspicato contenimento dei costi della politica.


Gli estremi per gridare allo scandalo ci sono tutti. Vedere i politici usufruire dell’assistenza sociale per reintegrarsi nella società civile una volta lasciata Roma è a dir poco una beffa. Che si rinnova a ogni tornata elettorale, perché la buonauscita non è una tantum. Prendete Veltroni. Nel 2001, dopo 14 anni, scelse di non ricandidarsi alla Camera. Lo attendeva la poltrona da sindaco della Capitale, non il marciapiede. E nel frattempo era divenuto parlamentare europeo. Eppure l’ufficio competenze di Montecitorio calcolò che per rendergli meno traumatico l’insediamento in Campidoglio gli sarebbero spettati 234 milioni di lire. Pur sempre una mancia, paragonati ai 439 milioni del record di Forlani.

Ma niente paura, ancora pochi giorni e l’assegno del segretario Pd ricomincerà a lievitare per altri 5 anni. Al pari di quello di De Mita, che durante un raro Aventino ritirò i primi 378 milioni di lire. Mentre a passare alla cassa saranno ora i nuovi esclusi dal seggio, per scelta o necessità: Prodi, Diliberto, Biondi, Del Pennino, Caldarola, D’Elia, Mele ecc. Una marea umana, visto che il solo Pd non ricandiderà più 134 eletti con l’Ulivo.
Forse agli albori della Repubblica una simile misura di sostegno avrebbe avuto ancora un senso. Per consentire di buttarsi nell’agone elettorale ai meno abbienti.

Allora però, i nostri rappresentanti percepivano compensi irrisori rispetto agli odierni 16.000 euro mensili spese incluse. Senza contare benefit, diarie, sconti, rimborsi e vitalizi, aggiuntisi nel tempo. Tanto da rendere il mestiere del parlamèntare un’alternativa al nababbo. Inoltre in Italia la legge non vieta a onorevoli e senatori di svolgere attività esterne dopo l’elezione. Né esiste un tetto sui redditi da esse ricavati (in Usa è di 13.000 euro annui). Accade così che il reddito medio extra parlamentare ammonti a 61.000 euro, e il 16% degli onorevoli guadagni da fonti esterne più di 100.000 euro l’anno, il 6% più di 200.000, e l’ l % più di 1 milione.

Fra i due poli H 64.5% di chi viene eletto è composto da avvocati, imprenditori e professionisti. I quali conservano un reddito medio esterno di 113.500 euro, 106.600 e più di 100.000 a testa. Anzi, proprio grazie all’ingresso in Parlamento (e alle laute occasioni che ne derivano) il reddito extra nel primo anno sale in media per tutti del 51%, autonomi o statali che siano: + 73% per gli avvocati, +80 per i professionisti, +102 per gli imprenditori, + 127 peri magistrati. Perfino dopo 6 anni consecutivi di mandato, il reddito complessivo si mantiene più alto dell’originario: del 60% per gli imprenditori, del27 e 22 per avvocati e professionisti. Le cifre le hanno estrapolate dai dati delle legislature XIII e XIV gli economisti Gagliarducci, Nannicini e Naticchioni. Calcolando che all’aumentare delle entrate extra corrisponde un maggior assenteismo in aula.


Il fatto poi che da orfani della politica si finisca dritti al collocamento, è tesi ardua da dimostrare. Ma quando mai: in Italia un posticino in un consiglio d’amministrazione, ente o consorzio, non si rifiuta a nessuno. Tra colleghi della stessa Casta negarsi una mano non sarebbe etico. Sarà anche per questo che l’ufficio di presidenza delle Camere, in vista del voto di aprile, avrebbe (condizionale d’obbligo) valutato un’interpretazione elastica della regola dei 2 anni e 6 mesi di mandato, così da trasformare pure l’assegno di reinserimento in triennale. Lo ha ipotizzato il vicepresidente del senato Calderoli, non un passante. Facendo crescere irrefrenabile la nostalgia per lo Statuto Albertino. Che al mitico art. 50 recitava: «Le funzioni di senatore o deputato non danno luogo ad alcuna retribuzione o indennità». Bei tempi.



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