venerdì, novembre 30, 2007

 

QUESTIONI DI GRAVITA'

Che cos’è lo Stato? Sconfortati dall’impossibilità di trovare, oggi come oggi, una qualche risposta decente ci affidiamo a questo sito dove rubiamo qualche definizione che riportiamo:
lo Stato è l’insieme del territorio del popolo e dell’apparato.
Che cos’è il popolo: Il popolo è l’insieme di persone formato dai cittadini. La parola "cittadino" è stata introdotta durante la rivoluzione francese in sostituzione della parola "suddito" per sottolineare che gli appartenenti alla comunità statale non hanno solo doveri ma anche diritti nei confronti dello Stato.
Forti di ciò possiamo andare aventi nelle nostre elucubrazioni. Abbiamo così scoperto, che secondo questa definizione noi cittadini abbiamo sia dei doveri sia dei diritti. Ma cosa regola tali diritti e tali doveri?
Possiamo dire, in linea di massima, la nostra Costituzione e nel dettaglio il corpus legis fin’ora emanato che regola e definisce cosa è permesso e cosa no e come viene punito ciò che non è permesso fare.
Senza addentrarci troppo su perché alcuni atti sono permessi e altri no, fiduciosi dell’assioma che se una cosa non è permessa è perché è stata generalmente giudicata negativa per l’individuo e/o per l’intera comunità/società, spostiamo la nostra attenzione piuttosto sul perché si punisce ciò che non è permesso fare. Diciamo abbandonando la filosofia e usando la logica, che si punisce, o meglio si dovrebbe punire, ciò che non è permesso fare, per impedire che tali azioni vengano ripetutamente compiute dagli stessi individui che le hanno compiute una volta e/o da coloro che ancora non le hanno compiute.
In che modo si punisce un individuo che ha compiuto un’azione che non è permesso compiere? Diciamo che si tende ad associare all’azione negativa una punizione direttamente proporzionale alla gravità dell’azione che non era permesso compiere ma che è stata comunque compiuta. Cioè, maggiore è l’accostamento di tale azione alla sfera che ne indica la gravità, maggiore risulterà la punizione indicata per chi ha compiuto questa azione.
Quale tipo di punizione si associa solitamente a tali azioni che non è permesso compiere?
Si tende generalmente ad accostare qualcosa che risulti sgradevole o comunque si tende a negare qualcosa che rientri nell’indice di quei bisogni considerati primari nell’essere umano. Se fossimo nel medioevo si accosterebbero tutte quelle punizioni che rientrano nell’ambito fisico/tattile dell’individuo (e ciò ci induce a pensare quanto fossero molto meno bui quei secoli di quello che generalmente si pensi), ma dato che, a quanto pare, siamo in pieno modernismo post illuminista, si preferisce associare un periodo di detenzione forzato, cioè si preferisce limitare o negare per un certo periodo di tempo più o meno lungo, a seconda della gravità dell’azione compiuta, quel bisogno di libertà di movimento, insito in ogni individuo.
Ma focalizziamoci su una di queste azioni vietate: l’omicidio. Sperando non sia necessario spiegare perché l’omicidio sia considerata un’azione negativa (in realtà a qualcuno dei nostri politici, tale spiegazione invece dovrebbe essere enunciata fino alla nausea dato che dalle loro azioni, come l’indulto, si comprende come non ne abbiano ancora capito la gravità), cerchiamo di capire, senza entrare troppo nel dettaglio a fronte di un omicidio volontario (esiste anche l’omicidio preterintenzionale e il doloso - Wikipedia) quale periodo di detenzione viene associato all’individuo reo di tale atto. Secondo l’articolo 575 del codice penale chiunque cagiona la morte di un uomo è punito con la reclusione non inferiore ad anni ventuno (21).
Oh bella, ci viene spontaneamente da esclamare. Magari non è il massimo ma 21 anni di galera sono sempre 21 anni di galera. Così se uccidiamo qualcuno e riusciamo a farci dare 21 anni (la pena minima prevista) in realtà a causa della legge sul patteggiamento (o rito abbreviato), che il nostro buon avvocato avrà sicuramente richiesto se non ci sono dubbi alla nostra colpevolezza (cioè se non c’è modo di scamparsela) possiamo ricevere uno sconto di pena di un terzo, e così riuscire a ridurre la nostra bella pena di 21 anni a 14 (un terzo di 21 = 7. 21 meno 7 scontati = 14).
Però poi c’è la legge Gozzini che in breve per ogni anno di carcere permette al detenuto di guadagnare uno sconto di tre mesi salvo comportamenti scorretti. Perciò se stiamo buoni buoni in carcere alla fine di questi 14 anni ne sconteremo 10 e mezzo (14anni per i 3 mesi concessi per ogni anno = 42 mesi concessi in totale. Trasformando i 42 mesi in anni abbiamo 42 diviso 12 = 3,5 anni che sottratti ai 14 anni ricevuti fanno 14 meno 3,5 = 10,5 cioè 10 anni e 6 mesi).
A questo punto subentra il capolavoro, il deus ex machina di tutte le leggi sulla giustizia: l’indulto. Se abbiamo la fortuna di aver ucciso entro il 2 maggio 2006 rientriamo tra coloro che possono chiedere di usufruire dell’indulto. Così quei 10 anni e mezzo diventano 7 anni e mezzo (3 ce li condona amorevolmente l’indulto).
Perciò ora dovremmo scontare 7 anni e 6. Nemmeno per sogno, ci dice il nostro avvocato. Perchè quando arriveremo a meno 6 anni di pena sono previste (sempre dalla famigerata legge Gozzini) tutta una serie di alternative alla carcerazione totale come la possibilità di usufruire della semilibertà (di giorno fuori e rientro in carcere solo per pernottarvi) o addirittura alla possibilità di poter essere affidato ai servizi sociali (Previti docet).
Insomma tirando le somme se uccidiamo qualcuno e riusciamo a non farci dare l’ergastolo (che comunque in Italia è praticamente impossibile scontare) ce la caviamo con 1-2 anni di carcere, 3-4 anni di semilibertà e 2-3 anni di servizi sociali.
Alche ci viene spontaneo chiederci: ma la pena proporzionata alla gravità dell’atto dov’è?

F.to
Comitato contro indulto
comitatocontroindulto@gmail.com

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