venerdì, gennaio 30, 2009

 

GLI STRASCICHI DELL'INDULTO (ovvero l'ipocrisia della sicurezza)

Dell'indulto abbiamo scritto tutto il male possibile. Il nostro stesso comitato è nato proprio per contrastare questa aberrante pratica l'ultima applicazione della quale è avvenuta il 2 maggio 2006, votata trasversalmente a larghissima maggioranza dai nostri politici.

Scrivemmo all'epoca che gli effetti dell'indulto sarebbero stati subiti dalla società per molto tempo a venire e, sfortunatamente, alla verifica dei fatti avevamo ragione.

Dopo oltre 2 anni e mezzo si muore ancora di indulto; si muore ancora uccisi da un malvivente che ha usufruito dell'indulto:

MILANO 30/01/2009 - Con una coltellata feroce al petto gli ha spaccato il cuore in due parti. Proprio come aveva fatto diciotto anni fa, sempre accecato dalla rabbia, sempre determinato a lavare lo sgarro con il sangue. Anche stavolta, come diciot­to anni fa, ha lasciato morire il suo rivale in mezzo alla stra­da, abbandonandolo agoniz­zante. Ad aiutarlo nel suo ul­timo omicidio, lunedì scorso, c’era un complice, anche lui clandestino, sbarcato a Lam­pedusa lo scorso settembre da un barcone di disperati e arri­vato a Milano in cerca di for­tuna. (Cronacaqui)

Questo è quello che accade ogni giorno nelle strade italiane. Questo è quello che ci tocca subire ancora, e chissà ancora per quanto, grazie alle vergognose azioni della nostra attuale classe politica (ma quando li cacceremo via dall'Italia?). Questo è quello che continua ad accadere sopratutto dopo l'ipocrita campagna elettorale della destra sulla sicurezza.

Oggi che questi pusillanimi sono al governo, non leggerete e sentire più sui giornali e sulle TV di regime parlare di questi episodi (esattamente come accadeva durante il regime fascista). Tutto va bene secondo la loro visione virtuale della realtà. E intanto i cittadini comuni (magari proprio quelli che li hanno votati credendo alle loro sporche fandonie) vengono ancora uccisi, stuprati, rapinati. E per questi atti violenti dobbiamo ancora in gran parte ringraziare l'indulto.

Così ci tocca ancora una volta continuare la nostra campagna d'informazione e sensibilizzazione contro l'indulto sperando che prima o poi la società civile comprenda da quali bestie siamo governati. Perciò se potete dateci una mano diffondendo il link del nostro blog.

F.to
Comitato contro l'indulto
comitatocontroindulto@gmail.com


venerdì, gennaio 23, 2009

 

GLI ANTICORPI PARASSITI (ovvero come impedire una nuova mani pulite)

"La giustizia è amministrata in nome del popolo..." recita l'articolo 101 della nostra Costituzione e "La legge è uguale per tutti" si legge nelle aule dei tribunali.

Ovviamente in Italia sono solo parole.

Continuando a informare i cittadini italiani sulla telenovella a puntate sullo scontro tra le procure di Salerno e Catanzaro, in breve causato dall'impossibilità dei giudici Salernitani di poter continuare le indagini illegalmente archiviate dalla procura di Catanzaro, avviate dal giudice De Magistris, trasferito, guarda caso, d'urgenza a Napoli; pubblichiamo oggi la lettera di dimissioni dall'Associazione Nazionale Magistrati del magistrato Gabriella Nuzzi, pm di Salerno, trasferita dal Consiglio Superiore della Magistratura, proprio a causa dello scontro tra la sua procura e quella di Catanzaro:

Alla Associazione Nazionale Magistrati - Roma
"Signor Presidente," - (ndr: Luca Palamara) - "Le comunico, con questa mia, l’irrevocabile decisione di lasciare l’Associazione Nazionale Magistrati. Il plauso da Lei pubblicamente reso all’ingiustizia subita, per mano politica, da noi Magistrati della Procura della Repubblica di Salerno è per me insopportabilmente oltraggioso. Oltraggioso per la mia dignità di Persona e di essere Magistrato. Sono stata, nel generale vile silenzio, pubblicamente ingiuriata; incolpata di ignoranza, negligenza, spregiudicatezza, assenza del senso delle istituzioni; infine, allontanata dalla mia sede e privata delle funzioni inquirenti, così, in un battito di ciglia, sulla base del nulla giuridico e di un processo sommario. Per bocca sua e dei suoi amici e colleghi, la posizione dell’Associazione era già nota, sin dall’inizio. Quale la colpa? Avere, contrariamente alla profusa apparenza, doverosamente adottato ed eseguito atti giudiziari legittimi e necessari, tali ritenuti nelle sedi giurisdizionali competenti. Avere risposto ad istanze di verità e di giustizia. Avere accertato una sconcertante realtà che, però, doveva rimanere occultata. Né lei, né alcuno dei componenti dell’associazione che oggi degnamente rappresenta ha sentito l’esigenza di capire e spiegare ciò che è davvero accaduto, la gravità e drammaticità di una vicenda che chiama a riflessioni profonde l’intera Magistratura, sul suo passato, su ciò che è, sul suo futuro; e non certo nell’interesse personale del singolo o del suo sponsor associativo, ma in forza di una superiore ragione ideale, che è – o dovrebbe essere – costantemente e perennemente viva nella coscienza di ogni Magistrato: la ricerca della verità. Più facile far finta di credere alla menzogna: il conflitto, la guerra tra Procure, la isolata follia di “schegge impazzite”. Il disordine desta scandalo: immediatamente va sedato e severamente punito. Il popolo saprà che è giusto così. E il sacrificio di pochi varrà la Ragion di Stato. L’Associazione non intende entrare nel merito. Chiuso. Nel dolore di questi giorni, Signor Presidente, il mio pensiero corre alle solenni parole che da Lei (secondo quanto riportato dalla stampa) sarebbero state pubblicamente pronunciate pochi attimi dopo l’esemplare “condanna”: “Il sistema dimostra di avere gli anticorpi”. Dunque, il sistema, ancora una volta, ha dimostrato di saper funzionare. Mi chiedo, allora, inquieta, a quale “sistema” Lei faccia riferimento. Quale il “sistema” di cui si sente così orgogliosamente rappresentante e garante. Un “sistema” che non è in grado di assicurare l’osservanza minima delle regole del vivere civile, l’applicazione e l’esecuzione delle pene? Un “sistema” in cui vana è resa anche l’affermazione giurisdizionale dei fondamentali diritti dell’essere umano; ove le istanze dei più deboli sono oppresse e calpestato il dolore di chi ancora piange le vittime di sangue? Un “sistema” in cui l’impegno e il sacrificio silente dei singoli è schiacciato dal peso di una macchina infernale, dagli ingranaggi vetusti ed ormai irrimediabilmente inceppati? Un “sistema” asservito agli interessi del potere, nel quale è più conveniente rinchiudere la verità in polverosi cassetti e continuare a costellare la carriera di brillanti successi? Mi dica, Signor Presidente, quali sarebbero gli anticorpi che esso è in grado di generare? Punizioni esemplari a chi è ligio e coraggioso e impunità a chi palesemente delinque? E quali i virus? E mi spieghi, ancora, quale sarebbe “il modello di magistrato adeguato al ruolo costituzionale e alla rilevanza degli interessi coinvolti dall’esercizio della giurisdizione” che l’Associazione intenderebbe promuovere? Ora, il “sistema” che io vedo non è affatto in grado di saper funzionare. Al contrario, esso è malato, moribondo, affetto da un cancro incurabile, che lo condurrà inesorabilmente alla morte. E io non voglio farne parte, perché sono viva e voglio costruire qualcosa di buono per i nostri figli. Ho giurato fedeltà al solo Ordine Giudiziario e allo Stato della Repubblica Italiana. La repentina violenza con la quale, in risposta ad un gradimento politico, si è sommariamente decisa la privazione delle funzioni inquirenti e l’allontanamento da inchieste in pieno svolgimento nei confronti di Magistrati che hanno solo adempiuto ai propri doveri, rende, francamente, assai sconcertanti i vostri stanchi e vuoti proclami, ormai recitati solo a voi stessi, come in uno specchio spaccato. Mentre siete distratti dalla visione di qualche accattivante miraggio, faccio un fischio e vi dico che qui sono in gioco i principi dell’autonomia e dell’indipendenza della Giurisdizione. Non gli orticelli privati. Non vale mai la pena calpestare e lasciar calpestare la dignità degli esseri umani. Per quanto mi riguarda, so che saprò adempiere con la stessa forza, onestà e professionalità anche funzioni diverse da quelle che mi sono state ingiustamente strappate, nel rispetto assoluto, come sempre, dei principi costituzionali, primo tra tutti quello per cui la Legge deve essere eguale per deboli e potenti.
So di avere accanto le coscienze forti e pure di chi ancora oggi, nonostante tutto, crede e combatte quotidianamente per l’affermazione della legalità. Ed è per essa che continuerò sempre ad amare ed onorare profondamente questo lavoro. Signor Presidente, continui a rappresentare se stesso e questa Associazione. Io preferisco rappresentarmi da sola".

Dott.ssa Gabriella NUZZI...Magistrato.

Per chi non avesse seguito la vicenda qui di seguito un riassunto semplicifato delle puntate precedenti:

Un giudice eroe si permette di indagare sulla misteriosa scomparsa di ingenti somme di denaro (si parla di 800 milioni di euro) riguardanti finanziamenti europei erogati per la costruzione di alcuni depuratori in Calabria mai iniziata e su assunzioni in società parastatali pilotate dai politici locali (le famose indagini Poseidone e Why not).

Da queste indagini salta fuori che nonostante avesse ricevuto molteplici denunce sui fatti la procura di Catanzaro in cui lavorava questo giudice faceva finta di nulla e non permetteva l'avvio delle indagini (che legalmente si è obbligati ad avviare a fronte di qualsiasi denuncia) .Il giudice eroe scopre infatti che alcuni magistrati della sua procura (e addirittura il capo di questa procura) vantavano amicizie e favori (assunzioni di parenti, alloggi regalati, ecc.) proprio da coloro su cui avrebbero dovuto indagare.

Non intimorito da questo continua eroicamente le sue indagini fino a quando non scopre addirittura di essere indagato a sua volta dai giudici colleghi che stavano spiando le sue indagini e registrando le sue telefonate e che lo tenevano sotto osservazione in modo da conoscere in anticipo le sue mosse.

Accade così che per motivi ancora non ben chiari (ufficialmente per incompatibilità di carattere) il giudice eroe viene trasferito a Napoli e le sue inchieste archiviate dalla procura di Catanzaro.

Prima di andare via riesce però a parlare con i colleghi della procura di Salerno (che per legge sono la sola procura che può, in caso di denuncia, indagare sulla procura di Catanzaro) e ad esporgli i resoconti delle sue inchieste.

I Pubblici Ministeri della procura di Salerno chiedono così più volte i fascicoli alla procura di Catanzaro per poter conoscere i fatti, ma questi incuranti delle richieste (a cui bisogna rispondere per legge) non fanno pervenire nulla.

Accade così che la procura di Salerno denuncia ufficalmente il procuratore capo della procura di Catanzaro e i PM a lui soggetti col risultato che questi, cercando così di non dare riscontro alle richieste della procura di Salerno, controdenunciano la procura di Salerno. A sua volta questa manda le forze dell'ordine a Catanzaro e fa sequestrare i fascicoli delle indagini iniziate dal giudice eroe ed inoltre manda a perquisire le abitazioni dei PM rivali che nascondevano nei propri domicili alcuni documenti attinenti le indagini.

Scoppia così lo scontro tra procure che arriva alle orecchie del ministro della Giustizia che di rimando chiede al Consiglio Superiore della Magistratura (l'unico che può sanzionare i magistrati) il trasferimento dei PM di Catanzaro (quelli cattivi che avevano bloccato le indagini del magistrato eroe) e di quelli della procura di Salerno (quelli buoni che volevano continuare le indagini del magistrato eroe) e addirittura il licenziamento del capo di quest'ultima procura.

In tutta questa storia si associa l'Associazione Nazionale Magistrati che non solo in passato non ha mai difeso il giudice eroe quando trasferito ma addirittura attacca indiscriminatamente anche il lavoro della procura dei PM buoni.

Accade così che ancora una volta le indagini del giudice eroe non vengono portate a termine e rimangono nel cassetto.

Cosa c'è dietro queste indagini per fare così paura sia al governo di centrosinistra (ricordiamo che il trasferimento del giudice eroe è stato fondamentalmente voluto dal ministro della giustizia del precedente governo) sia al governo di centrodestra (che con l'attuale ministro della giustizia ha formalmente decapitato i vertici della procura di Salerno che tentava di continuare le indagini bloccate) sia all'Associazione Nazionale Magistrati, che non ha mai difeso il lavoro del giudice eroe, sia al Consiglio Superiore della Magistratura, che ha sanzionato e trasferito i PM di entrambi le procure e i capi procuratori senza distinzione?

Inoltre dove sono finiti i famosi 800 milioni di euro (1.600 miliardi di vecchie lire) erogati dalla Comunità Europea e destinati alla costruzione di depuratori mai avviata?

La verità è una sola: il giudice eroe con la sua inchiesta avrebbe potuto far iniziare un'altra "mani pulite" e probabilmente un'altra epurazione in massa di partiti (di destra e di sinistra) che evidentemente hanno usato tutti i mezzi a loro disposizione per evitare il peggio.

E così come spesso accade nel nostro Paese tutto ritorna sotto silenzio e tranquillo come prima: i nostri politici possono continuare a rubare senza essere disturbati e noi cittadini possiamo continuare a farci derubare senza colpo ferire.

W l'Italia

F.to
Comitato contro l'indulto
comitatocontroindulto@gmail.com




lunedì, gennaio 19, 2009

 

RESISTERE, RESISTERE, RESISTERE

Oggi riprendiamo in toto,e pubblichiamo nel nostro sito, la lettera che il magistrato eroe Luigi De Magistris ha pubblicato su Micromega.
E' una lettera amara ma nello stesso tempo piena di speranza.
Una speranza che seppur così flebile, non possiamo permetterci di spegnere e anzi oggi che viviamo in questi tempi di tempesta, dobbiamo cercare di tenere accesa a tutti i costi. Per la nostra libertà, per la nostra Nazione e per i nostri figli, nella speranza che un giorno possano vivere in un'Italia migliore, un'Italia abitata da italiani migliori e sopratutto amministrata da politici migliori.

F.to
Comitato contro l'indulto
comitatocontroindulto@gmail.com

Di seguito la lettera di De Magistris:

L’altro giorno, in uno dei tanti viaggi tra Napoli e Catanzaro, ascoltavo la bellissima canzone di Francesco De Gregori e mi venivano in mente frammenti di storia scritti da magistrati della Repubblica italiana.
Pensavo al coraggio del Procuratore della Repubblica di Palermo, Gaetano Costa, che, da solo, si assunse la responsabilità di firmare degli ordini di cattura, al coraggio di Rosario Livatino ed Antonino Scopelliti che non piegarono la testa e decisero di esercitare il loro ruolo con rigore ed indipendenza, a quello di Paolo Borsellino che consapevole di quello che stava accadendo ai suoi danni cercava di fare presto per giungere alla verità e per comprendere anche le ragioni della morte di Giovanni Falcone e degli uomini della sua scorta.
Pensavo a quanta mafia istituzionale accompagna tanti eccidi accaduti negli ultimi trent’anni.
Pensavo a quello che sta accadendo in questi mesi in cui si consolidano nuove forme di “eliminazione” di magistrati che non si omologano al sistema criminale di gestione illegale del potere e che pretendono, con irriverente ostinazione, di adempiere a quel giuramento solenne prestato sui principi ed i precetti della Costituzione Repubblicana, nata dalla resistenza al fascismo.
Pensavo a quello che possono fare i singoli magistrati oggi per opporsi ad una deriva autoritaria che ha già modificato di fatto l’assetto costituzionale di questo Paese.
Pensavo a quello che può fare ogni cittadino di questa Repubblica per dimostrare che, forse, ormai, l’unico vero custode della Costituzione Repubblicana non può che essere il popolo, con tutti i suoi limiti.

In attesa di quel fresco profumo di libertà – del quale parla il mio amico Salvatore Borsellino e per il quale ci batteremo in ogni istante della nostra vita, in quella lotta per i diritti e per la giustizia che contraddistingue ancora persone che vivono nel nostro Paese – che ci farà comprendere quanto concreto sia il filo conduttore che accomuna i fatti più inquietanti della storia giudiziaria d’Italia degli ultimi 30 anni, non dobbiamo esimerci dall’evidenziare alcune brevi riflessioni.
In attesa dei progetti di riforma della giustizia (che mi pare trovano d’accordo quasi tutte le forze politiche) che sanciranno, sul piano formale, l’ulteriore mortificazione dei principi di autonomia ed indipendenza della magistratura, non si può non rilevare che i predetti principi – che rappresentano la ragione di questo mestiere che, senza indipendenza ed autonomia, è solo esercizio di funzioni serventi al potere costituito – sono stati e vengono mortificati proprio da chi dovrebbe svolgere le funzioni di garanzia e tutela di tali principi.

Dall’interno della Magistratura, in un cordone ombelicale sistemico di gestione anche occulta del potere, con la scusa magari di evitare riforme ritenute non gradite, si procede per colpire ed intimidire (anche con inusitata deprecabile violenza morale) chi, all’interno dell’ordine giudiziario, non si omologa, non intende appartenere a nessuno, non vuole assimilarsi alla gestione quieta del potere, ma rimane fedele ed osservante dei valori costituzionali di uguaglianza, libertà ed indipendenza che chi dovrebbe garantirne tutela – anche con il sistema dell’autogoverno – tende, in realtà, a voler governare, dall’interno, la magistratura rendendola, di fatto, prona ai desiderata dei manovratori del potere.

Ma non bisogna avere timore. La storia – ed ancora prima la conoscenza e la rappresentazione di fatti quando essi saranno pubblici – ci faranno capire ancor meglio di quanto tanti hanno già ben compreso, le vere ragioni poste a fondamento di prese di posizione anche di taluni magistrati (alcuni dei quali ritengono anche di svolgere una funzione di “rappresentanza”, in realtà, concretamente, insussistente).
Quello che rileva in questo momento e che mi pare importante è che, in attesa del fresco profumo di libertà, che spazzerà via alcuni protagonisti indecenti di questo periodo, ogni magistrato abbia un ruolo attivo, non si disorienti, diventi attore principale – nel suo piccolo ma nella grande “forza” di questo mestiere che richiede oneri prima ancora che onori – della salvaguardia dei valori costituzionali.

Ognuno di noi, chi ha deciso di fare questo lavoro con amore, passione e forte idealità, ha un luogo, interno alla propria coscienza, al proprio cuore ed alla propria mente, dal quale attingere forza e determinazione nei momenti bui. E’ questa l’ora delle risorse auree: se insieme sapremo esercitare le nostre funzioni in autonomia, libertà, indipendenza, senza paura di essere eliminati da intimidazioni istituzionali o da “clave” disciplinari utilizzate in violazione della Costituzione Repubblicana.
Per me, le riserve energetiche sono state e sono tuttora, soprattutto, le immagini di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, anche perché nei giorni delle stragi mafiose – con riferimento alle quali attendiamo verità e giustizia anche per le complicità sistemiche intranee alle Istituzioni – avevo appena consegnato gli scritti nel concorso in magistratura. Quando Antonino Caponnetto disse che tutto era finito, nel mio cuore ed in quello di molti altri magistrati è scattata una molla per dimostrare che non doveva essere così, che, invece, bisogna lottare e non mollare mai. Anche nella certezza di poter morire - come diceva Paolo Borsellino nella consapevolezza che tutto potesse costarci assai caro – vi sono magistrati che ogni giorno cercano di applicare, nei provvedimenti adottati, il principio che la legge è uguale per tutti.

Da quando le organizzazioni mafiose hanno dismesso la strategia militare di contrasto ed eliminazione dei rappresentanti onesti e coraggiosi delle Istituzioni, il livello di collusione intraneo a queste ultime si è consolidato enormemente, tanto da rappresentare ormai quasi una metastasi istituzionale che conduce alla commissione di veri e propri crimini di Stato. Questo comporta che oggi dobbiamo difendere, ogni giorno e con i denti, la nostra indipendenza e l’esercizio autonomo della giurisdizione – nell’ossequio del principio costituzionale sancito dall’art. 3 della Costituzione – anche da veri e propri attacchi illeciti, talvolta condotti con metodo mafioso, provenienti dall’interno delle Istituzioni.

Che può fare, allora, un magistrato? Che può fare un Uditore Giudiziario che a febbraio prenderà le funzioni giurisdizionali? Che può fare un Giudice civile? Che può fare un Giudice del Tribunale del Riesame? Che può fare un Giudice del settore penale? Che può fare un Pubblico Ministero? Che possiamo fare quelli di noi che non si piegano al conformismo giudiziario? Che possiamo fare quelli che vogliono esercitare solo questo lavoro con dignità e professionalità, senza pensare a carriere interne o esterne all’ordine giudiziario?

Credo che la ricetta è semplice, anche se sembra tutto così complicato in questo periodo così buio per la nostra Costituzione per la quale non dobbiamo mai smettere di combattere: si deve decidere senza avere paura – innanzi tutto di chi dovrebbe tutelarci e che si dimostra sempre più baluardo di certi centri di interessi e poteri, nonché fonte di pericolo per l’indipendenza del nostro stupendo lavoro –, senza pensare a valutazioni di opportunità, senza scegliere per quella opzione che possa creare meno problemi, decidere nel rispetto delle leggi e della Costituzione, pronunciarsi nel segno della Verità e della Giustizia. In tal modo, avremmo adempiuto, con semplicità e nello stesso tempo con coraggio, al nostro mandato, la coscienza non si ribellerà con il trascorrere del tempo, magari potremmo anche capitolare, ma, come dice Salvatore Borsellino, lo avremmo fatto senza “esserci venduti”. Non avremo svenduto la nostra indipendenza, non avremo piegato la nostra coscienza, non avremo abdicato al nostro ruolo, non avremo abbassato la testa: ci ritroveremo con la schiena dritta, con il morale alto, con il rispetto di tutti (anche dei nostri avversari). Questo ci chiedono le persone oneste: di non “consegnarci” e mantenere alto il prestigio dell’ordine giudiziario in un momento in cui la questione morale assume connotati epidemici anche al nostro interno. Non bisogna avere paura di un potere scellerato che pretende di opprimere la nostra libertà ed il nostro destino.

Ai giovani colleghi mi permetto, con umiltà e per l’immenso amore che preservo per questo lavoro, di esortarli a non temere mai le decisioni giuste e di perseguire sempre la strada della giustizia e della verità anche quando questa può costare caro. Io ero consapevole che mi avrebbero colpito e che mi avrebbero fatto del male, ma non ho mai piegato, nemmeno per un istante, il percorso delle mie scelte ed oggi mi sento, come sempre, sereno, ricco di energie, molto forte, perché dentro il mio cuore e la mia mente sono consapevole di aver espletato ogni condotta nell’interesse della Giustizia e nel rispetto delle leggi e della Costituzione Repubblicana.
Non ascoltate quelle sirene, anche interne alla nostra categoria, che vi inducono – magari in modo subdolo e maldestro – a piegare la testa in virtù di una pseudo-ragion di stato che consisterebbe nel pericolo imminente di riforme sciagurate, per evitare le quali dobbiamo, strategicamente, “girarci” dall’altra parte quando ci “imbattiamo” nei cd. “poteri forti”. Le riforme – anzi le controriforme – ci saranno comunque, forse saranno terribili, ma almeno non dobbiamo essere noi a dimostrarci timorosi e con le gambe molli, malati, come diceva Piero Calamandrei, di agorafobia. L’indipendenza si difende senza calcoli e ad ogni costo, l’amore della verità può costare l’esistenza. Ed essa si difende anche da chi la mina, in modo talvolta anche eversivo, dal nostro interno. Nella mia esperienza gli ostacoli più insidiosi sono sempre pervenuti dall’interno della nostra categoria: non sono pochi i magistrati, oramai, pienamente inseriti in un sistema di potere criminale che reagisce alle attività di controllo e che si muove, dal sistema, per evitare che sia fatta verità e giustizia su tanti fatti criminali inquietanti avvenuti nella storia contemporanea del nostro Paese.

Sono convinto che la magistratura non soccomberà definitivamente solo se saprà ancora esercitare la sua funzione senza paura, ma con coraggio, nella consapevolezza che anche da soli, nella solitudine propria della nostra funzione, quando ognuno di noi deve decidere e mettere la firma sui provvedimenti, e, quindi, valutare fatti e circostanze, lo farà senza farsi intimidire dalle conseguenze del suo agire. La paura rende gli uomini schiavi, così come le decisioni dettate con un occhio a carriere e posti di comando sono destinate a mortificare le funzioni prima ancora che rendere indegne le persone che le rappresentano.

Quindi, in definitiva, la storia la dobbiamo scrivere anche noi, nel nostro piccolo mondo, pur nella consapevolezza che alcuni di noi pagheranno un prezzo ingiusto e magari anche molto duro, ma questo è per certi versi ineluttabile quando si è deciso di svolgere una funzione che ci impone di difendere, nell’esercizio della giurisdizione, i valori di uguaglianza, libertà, giustizia, verità, quali effettivi garanti dei diritti di cui i cittadini, ed in primis i più deboli, ci chiedono concreta tutela.

Luigi De Magistris è giudice del Riesame a Napoli
19 gennaio 2009

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