giovedì, gennaio 03, 2008

 

DEBITO EURO SONO


Usciamo, come ogni tanto facciamo, dal tema principale del nostro blog per occuparci di un aspetto che se a breve creerà seri problemi al governo, da molto più tempo invece sta preoccupando le famiglie italiane: la rivalutazione degli stipendi o meglio la perdita del potere d’acquisto dell’euro (Repubblica).
Su tale tema ci piace ragionare vagliando i fatti e soprattutto dando ascolto al sempre più striminzito portafoglio degli italiani piuttosto che alle statistiche dell’ISTAT che sembrano invece profilare tutt’altra realtà (Adoc) rispetto ai rincari reali dei beni di consumo (Repubblica).
Partiamo come logico dal principio: l’introduzione dell’euro. Ci fu detto che l’Italia avrebbe tratto molti vantaggi dall’adozione di tale moneta. Tra tutti una forte stabilità della stessa perciò una bassa svalutazione con gli aspetti positivi che ciò implicava: prezzi dei beni stabili, interessi dei mutui bassi, incremento del commercio in Europa, rafforzamento delle imprese nazionali nei mercati esteri, ecc. ecc (un esempio che cita i tanto esaltati aspetti positivi dell’introduzione dell’euro in Italia lo possiamo trovare in una brillante tesi di laurea pubblicata da Tesi on line).
Ci fu anche detto a più riprese che se l’Italia non avesse adottato tale moneta ma fosse rimasta alla lira, la svalutazione di quest’ultima, rispetto all’euro adottata dagli altri Paesi comunitari, sarebbe stata enorme con il risultato di una gravissima se non addirittura irreversibile crisi economica del Paese.
Ora analizziamo i fatti: 1 gennaio 2002 entriamo nell’euro con un cambio di 1.936,27 lire per 1 euro. All’inizio più o meno tutto bene ma con l’andare del tempo accade l’irreparabile: i prezzi dei beni di consumo cominciano a lievitare spaventosamente e come se non bastasse magicamente vengono raddoppiati i costi di gran parte della merce e sopratutto di uno dei beni per il quale gli italiani da sempre mostrano un grande interesse: la casa (Repubblica, Leonardo). Nonostante questo l’Istat continua a dare indici d’inflazione annua molto bassi e gli stipendi non crescono nel corso degli anni rimanendo perlopiù simili a quelli precedenti all’introduzione dell’euro (Il giornale, IBRP) fino a quando addirittura scopriamo che siamo tra le nazioni principali europee che hanno adottato l’euro quella con gli stipendi più bassi (Panorama).
Ma non finisce qui: l’euro comincia a rafforzarsi nei mercati esteri (in pratica le banche centrali mondiali acquistano grandi quantità di obbligazioni in euro, piuttosto che in altre monete) quindi le sue quotazioni rispetto alle altre principali monete internazionali, tra cui il dollaro, cominciano a lievitare. Effetto di tutto ciò una crisi delle esportazioni che hanno fatto abbassare la media dell’indice delle quote del mercato export mondiale dell’Italia degli ultimi 5 anni rispetto ai 5 precedenti all’introduzione dell’euro da 4,1 a 3,76 (Mincomes) con il risultato della chiusura di un gran numero di aziende nel nostro Paese che a causa dell’alto tasso di scambio dell’euro, avevano difficoltà a piazzare i loro prodotti nelle nazioni con valute diverse.
Se tale analisi agli occhi di economisti esperti potrebbe sembrare estremamente facilona, perché non considera gli innumerevoli fattori più o meno complessi che delineano l’andamento dell’economia di un Paese, o perché non considera l’aumento del prezzo del petrolio dopo i fatti dell’11 settembre 2001 o ancora l’ascesa nel mercato mondiale della produzione dei beni di consumo di nazioni come Cina e India (che possono permettere prezzi di produzione estremamente bassi rispetto a quelli degli standard delle economie occidentali), e tanti altri fattori che proprio perché non esperti ci guardiamo bene dall’approfondire, chiediamo scusa, anche se proprio gli esperti a volte ci spiegano quanto sia difficile ipotizzare cosa ne sarebbe stato dell’Italia se non fosse entrata nell’euro ( La Voce).
Invece proprio il fatto di sapere cosa ci è capitato (cosa è capitato alla gente comune, ai semplici cittadini) dopo aver adottato tale moneta ci può far comprendere come alla verifica dei conti sembra che questo euro (o questa Europa?) a sei anni dalla sua introduzione non sia stato affatto un buon affare per l’Italia (e soprattutto per gli italiani), sempre più costretti dai parametri di Maastricht, cioè quei requisiti necessari per rimanere nella quota euro (Politica Domani), a rinunciare ai necessari investimenti sul Welfare (Wikipedia) in modo da risolvere definitivamente i gravosi problemi delle famiglie italiane, sempre più impoverite da una clamoroso abbassamento del potere di acquisto dei propri stipendi, sempre più indebitate con le banche a causa dei puntuali innalzamenti dei tassi di interessi della Banca Centrale Europea (RaiNews24, Panorama), in breve sempre più povere e arrabbiate (Repubblica).
Insomma se proprio non è possibile “divorziare” dall’euro nonostante il suo fallimento (La Voce), almeno nei confronti dell’economia della gente comune, non ci rimane che rassegnarci a rimpiangere la cara vecchia bistrattata lira, che quando si guadagnava 2.000.000 si stava bene, che i mutui erano alti ma si riusciva a pagarli lo stesso, che la benzina aumentava sempre ma chi aveva il diesel se la scampava, che se in famiglia lavorava uno solo si riusciva comunque a campare, che non conveniva andare a fare le vacanze in America ma le aziende italiane andavano alla grande nei mercati esteri, che alla fine dei conti i conti, in qualche modo, ritornavano.

F.to
Comitato contro l’indulto
comitatocontroindulto@gmail.com

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